Una vita costruita su studio, lavoro, decenni di buone frequentazioni medio-alto borghesi con tutti i crismi dell’esclusività. Poi un errore, neanche troppo importante: uno solo, che però scardina e tutto capovolge: è così che il protagonista di Seminario sulla nostalgia, luminare della psichiatria, si ritrova in tempi inaccettabilmente brevi escluso da chi lo aveva incensato, protetto, gli aveva fino ad allora riconosciuto ruolo pubblico e grandezze terrene.
Perse le coordinate portanti su cui ha poggiato saldamente l’esistenza, a riparare agli sguardi un tempo ammirati che adesso invece lo schivano – con cura deliberata – a Ernesto, questo il nome, viene offerta un’unica opportunità di rifarsi: l’organizzazione di un seminario su un tema a lui ora giocoforza caro, la nostalgia.
Questo impegno che accoglie con tiepido entusiasmo, riconoscendone le caratteristiche di un pietoso ripiego, si fa col passare del tempo percorso privilegiato per tirare le fila di tutta un’esistenza, soppesare rapporti, addebitare loro finalmente giusta importanza, [ri]diventare padrone delle [sue] cose, […]fare il punto,[…] sapere la guida e la direzione, e se possibile il come.
Per distaccarsi da vincoli di sola superficie, affrontare – comprendendo – quanta parte di illusorio, labile e insincero portano le vite di tutti, capisce che non potrà affidarsi solo alla spina dorsale di tutta la vita, la psicanalisi, in cui trova chiavi di lettura parziali e di parte: perché alle condotte degli umani, interpretabili e catalogabili con ragionata disinvoltura, va aggiunto l’elemento dell’imponderabile, dell’ingovernabile, che plasma, sfugge e definisce.
Impossibile non ravvisare, in questo esordio narrativo – che con indelicatezza potrebbe definirsi tardivo – un parallelismo marcato con il suo autore: Roberto Tatarelli è neuropsichiatra, psicoanalista, già Professore Ordinario alla Sapienza. È alla sua personale biografia che vanno con ogni probabilità ad ascriversi le ambientazioni in una splendente Roma anni Settanta, con interi pomeriggi trascorsi al circolo del tennis, in cui lo scontro fisico sul campo è riflesso edulcorato e socialmente accettabile di schermaglie professionali e familiari con un fratello medico – medico vero, lui sì, cura organi visibili, contraltare essenziale di Ernesto così il suo amico più caro, lapidario e brusco, termine sincero di contraddittorio e la moglie Gwendolin, altro contrappunto necessario ma personaggio tutt’altro che ancillare, delineata dall’autore con perfetti brani di dialogo secchi e densi di significati sottaciuti o solo accennati.
Eccelle Tatarelli nella parola trattenuta: in studiata prosa piana riporta intatta allusività di sguardi, intenzioni celate del suo protagonista così come dei (quasi ex) colleghi, che ora lo salutano come fosse un impiegato di concetto, procurandogli sottilissimo, urticante dolore, e delle donne, una folla: amiche, colleghe, studentesse, possibili amori o amorazzi da imbastire o immaginare, sulla scorta comunque di un’affinità intellettuale necessaria; donne giovani che gli ruotano intorno negli anni, un abusato cliché, qualcuna rimanendogli nella memoria come spoglie di una forma di nostalgia.
Alla ricostruzione e legittimazione di una dimensione privata, intima, del protagonista contribuiscono necessariamente anche gli impegni professionali (del solo passato, ormai, altra modulazione del rimpianto): fra questi, la partecipazione alla causa di interdizione intentata dalla famiglia nei confronti di Giorgio Bassani, episodio reale, amarissimo. Non è questo il solo accenno a scrittori e letture: troviamo in questo delicato romanzo di Blaupause, collana di narrativa di Aguaplano, accenni dichiarati a Faulkner, Montaigne, Céline e ancora Kundera e Pirandello. Dalle loro pagine sulla nostalgia il protagonista, nell’abbozzo al Seminario del titolo, trae tracce e suggestioni, cercando (invano? Leggendo lo vedremo) definizione e confine della parola che travalica il concetto di “sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare, anche in luoghi appena immaginati e di homesickness, malessere quasi fisico della distanza da casa, parola satura di senso eppure riduzione spaziale di questa grande nozione, lamenta il protagonista.
Scavo in soggettiva che si affida a un parlato volutamente piano, stoneriano (J.W. williamsoniano, invero, un codice quanto mai adatto a un tentativo tardo di recuperare e dar senso ai tanti frammenti del sé), Seminario sulla nostalgia è notevole infine per le modalità espressive scelte con cura percepita da Tatarelli, che definiscono – straordinariamente puntuali – individui e ambienti.
Un ottimo esordio.
Anna Vallerugo
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